Roberto, ci racconti il tuo primo ricordo musicale?
Non saprei risalire al primo ricordo in assoluto, in quanto ho sempre vissuto nella musica. Mio padre coltivava la passione per la musica jazz e mio nonno amava la musica classica, per cui in casa avevamo molti dischi, persino 78 giri. I primi ricordi sono legati all'ascolto della musica.
Perché suoni?
Per necessità, per amore, per curiosità, per educazione e forse per molti altri motivi che non sono ancora riuscito a scoprire. Suono anche per comunicare qualcosa alle persone, quando sono in pubblico, e per comunicare a me stesso, quando mi trovo in solitudine.
Perché scrivi?
Probabilmente per gli stessi motivi per cui suono. Con la differenza che, non avendo obblighi verso il compositore, sono libero di indagare dentro me stesso, libero di scoprire lati di me che non conoscevo, libero di dar completo sfogo alla mia creatività. La composizione, per me, è diventata quasi una disciplina spirituale.
Perché ascolti musica?
L'ascolto, così come la pratica della musica, acutizza i sensi, dona maggiore sensibilità. Offre uno straordinario appagamento. Inoltre, direi che ascolto musica per tenermi aggiornato su ciò che viene prodotto, sia dai compositori che dagli interpreti. Oggi il web offre straordinarie opportunità di ascolto, di aggiornamento. Quando ero ragazzino potevo contare solo sui dischi che avevamo in casa, sulla radio e ovviamente i concerti dal vivo.
Hai una moglie pianista e una bellissima bambina di due anni. Come gestite la musica nei confronti di vostra figlia?
Prima che nascesse nostra figlia, discutevamo e cercavamo il modo migliore per avvicinarla alla musica. Ma credo che la piccola ci abbia anticipato e risolto il problema da se. Infatti ci siamo accorti che ascoltava e reagiva ai suoni già nel periodo prenatale. Mia moglie può assicurare che aveva anche le sue preferenze. Oggi, ho notato con piacere che nostra figlia si nutre di musica in modo molto spontaneo. Ascolta musica quando siamo noi a suonare, o in cd, o persino nei concerti dal vivo. Spesso si avvicina al pianoforte, abbassa i tasti e ascolta i suoni prodotti. Per ora ci spiega che negli acuti ci sono gli uccellini e nei bassi c'è l'orso. Vogliamo che continui a giocare con la musica in maniera gradatamente sempre più impegnata. In modo serio, come tutti i giochi richiedono.
Tecnica ed interpretazione sono termini controversi. Tu cosa pensi?
Il termine "tecnica" accende discussioni già solo nel volerlo definire. Per alcuni è inscindibile dalla musica, per altri è una disciplina indipendente. Abbiamo eccelsi esempi che sostengono una o l'altra tesi. Si pensi a Liszt che richiedeva due ore di studio al giorno di sole scale ad ottave e, viceversa, a Richter che ammetteva di non aver mai studiato scale o esercizi. Credo che con un po' di buon senso si possa trovare del bene in ambedue gli atteggiamenti.
Anche per quanto riguarda il termine "interpretazione" si delineano numerose e contrastanti definizioni, generando vere e proprie scuole di pensiero. Personalmente parto dal concetto che il testo musicale è stato e, credo, sarà sempre più lacunoso rispetto a ciò che la musica fatta di suoni riesce ad esprimere. La notazione musicale risulterà essere sempre troppo approssimativa rispetto alla ricchezza e magnificenza della musica. Chi si limita ed esser "fedele" al segno scritto, senza integrare con ciò che non è scritto, non farà un buon servizio né alla musica, né al compositore. L'interprete deve avere un fantastico intuito e non deve temere di essere un po' creatore.
La musica attraversa un periodo di profonda crisi. Perché?
Forse è la società ad attraversare un periodo di profonda crisi. La musica gode di ottima salute, ci guarda e attende di essere considerata. Siamo noi ad esserci persi. Siamo noi a non credere nel valore infinito della musica. La scuola ha il dovere di aiutarci ad apprezzare e tutelare la musica. La televisione andrebbe completamente riprogrammata. La formula del recital andrebbe modificata e persino i programmi andrebbero ripensati. Ci sono giovani compositori che creano musica ma non gli si da spazio.
La definizione "Musica Classica" ti convince?
E' un po' equivoca. E' evidente che non si riferisce al momento storico dal quale prende il nome, poiché sarebbe troppo riduttivo. Ma soprattutto non mi pare sia da intendere come definizione di genere quanto invece riconoscimento di qualità. Non che questo semplifichi le cose, anzi. In tal caso la definizione si avvicina alla mia personale idea di classicità o immortalità. Faccio un esempio, nel proprio genere Gretchen am Spinnrade di Schubert è un classico, così come, per esempio, Night and Day di Cole Porter lo è nel suo. Sono due classici. Ecco cosa personalmente intendo per "musica classica".
Mancano cinque minuti al tuo concerto. Come vive questi momenti?
Da studente, i momenti prima di un concerto o prima di un concorso, li vivevo con un'ansia tremenda. Nel tempo ho imparato a rilassarmi, respirare e isolarmi. Da quando c'è mia figlia, fino a qualche secondo prima di uscire in scena gioco con lei.
Anche i musicisti mangiano. Il tuo piatto preferito?
Sono di buona forchetta. Eccetto la carne, mangio di tutto. Mi sarebbe piaciuto saper cucinar bene.
La musica è per tutti?
La musica dovrebbe essere per tutti, purché la mente e il cuore siano predisposti ad accoglierla, purché i mezzi di informazione permettano di usufruirne e purché la scuola offra i mezzi per praticarla.
Suonare senza pubblico ha senso?
Non so se abbia un senso, anche perché forse non possiamo sottrarci dall'avere un pubblico che ci ascolta. Neppure quando studiamo in solitudine, poiché una parte di noi è impegnata ad ascoltare, a fare da pubblico. Per chi è credente potrei dire che, quando si fa musica, con o senza pubblico, comunque ci ascolta Dio.
Perché il compositore o l'interprete ha paura del giudizio del pubblico se in netta maggioranza questo non ha competenze musicali?
Magari non ha competenze tecniche ma ha sensibilità e quindi capacità di reagire alla presenza o assenza di emozione. Questo l'artista lo sa è ne ha paura. Paura di non essere all'altezza di un tale impegnativo compito. Poi si può avere paura per molti motivi. Il compositore spesso teme che il suo linguaggio non venga compreso. L'interprete teme che il suo lavoro possa essere considerato non adeguato alla grandiosità della composizione che interpretano.
Musicista e pubblico sono soggetti separati?
Liszt nel 1837 scrisse "l'artista vive solitario". Non che Liszt predicasse bene e razzolasse male ma la sua vita dimostra che un certo desiderio di solitudine non può non essere compensato dalla vicinanza, dal confronto, dalla condivisione con le persone. Penso che musicista e pubblico non dovrebbero essere separati. Sia l'interprete che il pubblico sono partecipi di quello stesso evento magico chiamato musica. Se si perde di vista questa sorta di comunione, si perde il senso del concerto.
Roberto vai a vedere o sentire i concerti?
Durante i concerti favorisco la percezione acustica a quella visiva, a patto che contemporaneamente alla musica non avvengano proiezioni di video o immagini. Da ragazzino, invece, cercavo di sedermi sempre in prima fila per vedere le mani del pianista e verificare alcune cose tecniche. E sempre in giovane età ricordo che mi impressionava la gestualità di Glenn Gould ma anche l'immobilità di Horowitz e Michelangeli.
Sei mai stato intervistato durante un concerto davanti al pubblico?
Non ricordo niente di simile se non ai concerti da te organizzati ed è stato molto divertente. Mi pare che il pubblico abbia preferito l'intervista al solito curriculum scritto sul programma di sala.
Suoni a memoria o con lo spartito?
Per molti anni ho suonato a memoria, sia perché i concorsi lo pretendevano, sia perché, pigramente, cedevo a questa abitudine. Suonare a memoria, credo lo si sia fatto, sì per reali esigenze ma anche un po’ per routine. In passato accadeva la situazione inversa. Pensa che la giovane Clara Wieck fu molto rimproverata dalla critica per il fatto che si presentasse in scena senza spartito e suonasse spavaldamente tutto a memoria. Da un po' di anni suono quasi esclusivamente con lo spartito sul leggio. Noto che anche molti colleghi lo fanno. Spero non diventi una moda, mi dispiacerebbe si pensasse che suono con lo spartito per moda. Scherzi a parte, credo sia una importante conquista sotto il profilo della libertà di espressione. Richter nell'ultima fase della sua carriera lo pretendeva e nei programmi di sala dei suoi concerti faceva riportare un lungo scritto che motivava le sue scelte. Questo è un frammento interessante: "Che infantilismo e che vanità, fonte di fatiche inutili, questa specie di gara di prodezza della memoria, quando bisognerebbe soprattutto fare della buona musica che tocchi l’ascoltatore! Mediocre routine in cui si crogiola una gloria mendace e che il mio caro professore Heinrich Neuhaus tanto biasimava". Io non sarei così drastico. Credo debba essere una decisione presa in totale libertà ma non nego abbia innumerevoli e importanti vantaggi.
Come scegli il repertorio?
Cerco anzitutto di non dimenticare che suono per il pubblico. Un pubblico eterogeneo, non necessariamente preparato e che magari vuole semplicemente trascorrere un'ora piacevolmente. Se si parte da questi presupposti non si cade nell'errore di compilare programmi troppo cerebrali e noiosi. Evito i programmi dedicati ad un solo compositore. Ho fatto uno strappo alla regola solo con specifici compositori. Se inserisco una composizione di lunga durata, il resto del recital lo farcisco con piccoli lavori. Mi piace rendere vari i miei programmi, proporre composizioni sconosciute o addirittura compositori sconosciuti. Questo alimenta la curiosità e onora uno degli scopi dell'interprete: dar voce ai compositori, indistintamente, anche a quelli meno popolari.
La vita musicale del nostro tempo ti soddisfa?
Se si intende l’attività musicale promossa da teatri, dalle scuole e dai mezzi di comunicazione di massa, credo si debba promuovere una forte azione di incremento. L’attività concertistica è troppo circoscritta ai grandi centri e a vantaggio di poche persone.
Cosa farai da grande?
Ho un grande sogno. Quando sarò grande, diciamo anche anziano, mi piacerebbe stare dalla parte del pubblico, sedermi in prima fila e ascoltare mia figlia suonare.
Non saprei risalire al primo ricordo in assoluto, in quanto ho sempre vissuto nella musica. Mio padre coltivava la passione per la musica jazz e mio nonno amava la musica classica, per cui in casa avevamo molti dischi, persino 78 giri. I primi ricordi sono legati all'ascolto della musica.
Perché suoni?
Per necessità, per amore, per curiosità, per educazione e forse per molti altri motivi che non sono ancora riuscito a scoprire. Suono anche per comunicare qualcosa alle persone, quando sono in pubblico, e per comunicare a me stesso, quando mi trovo in solitudine.
Perché scrivi?
Probabilmente per gli stessi motivi per cui suono. Con la differenza che, non avendo obblighi verso il compositore, sono libero di indagare dentro me stesso, libero di scoprire lati di me che non conoscevo, libero di dar completo sfogo alla mia creatività. La composizione, per me, è diventata quasi una disciplina spirituale.
Perché ascolti musica?
L'ascolto, così come la pratica della musica, acutizza i sensi, dona maggiore sensibilità. Offre uno straordinario appagamento. Inoltre, direi che ascolto musica per tenermi aggiornato su ciò che viene prodotto, sia dai compositori che dagli interpreti. Oggi il web offre straordinarie opportunità di ascolto, di aggiornamento. Quando ero ragazzino potevo contare solo sui dischi che avevamo in casa, sulla radio e ovviamente i concerti dal vivo.
Hai una moglie pianista e una bellissima bambina di due anni. Come gestite la musica nei confronti di vostra figlia?
Prima che nascesse nostra figlia, discutevamo e cercavamo il modo migliore per avvicinarla alla musica. Ma credo che la piccola ci abbia anticipato e risolto il problema da se. Infatti ci siamo accorti che ascoltava e reagiva ai suoni già nel periodo prenatale. Mia moglie può assicurare che aveva anche le sue preferenze. Oggi, ho notato con piacere che nostra figlia si nutre di musica in modo molto spontaneo. Ascolta musica quando siamo noi a suonare, o in cd, o persino nei concerti dal vivo. Spesso si avvicina al pianoforte, abbassa i tasti e ascolta i suoni prodotti. Per ora ci spiega che negli acuti ci sono gli uccellini e nei bassi c'è l'orso. Vogliamo che continui a giocare con la musica in maniera gradatamente sempre più impegnata. In modo serio, come tutti i giochi richiedono.
Tecnica ed interpretazione sono termini controversi. Tu cosa pensi?
Il termine "tecnica" accende discussioni già solo nel volerlo definire. Per alcuni è inscindibile dalla musica, per altri è una disciplina indipendente. Abbiamo eccelsi esempi che sostengono una o l'altra tesi. Si pensi a Liszt che richiedeva due ore di studio al giorno di sole scale ad ottave e, viceversa, a Richter che ammetteva di non aver mai studiato scale o esercizi. Credo che con un po' di buon senso si possa trovare del bene in ambedue gli atteggiamenti.
Anche per quanto riguarda il termine "interpretazione" si delineano numerose e contrastanti definizioni, generando vere e proprie scuole di pensiero. Personalmente parto dal concetto che il testo musicale è stato e, credo, sarà sempre più lacunoso rispetto a ciò che la musica fatta di suoni riesce ad esprimere. La notazione musicale risulterà essere sempre troppo approssimativa rispetto alla ricchezza e magnificenza della musica. Chi si limita ed esser "fedele" al segno scritto, senza integrare con ciò che non è scritto, non farà un buon servizio né alla musica, né al compositore. L'interprete deve avere un fantastico intuito e non deve temere di essere un po' creatore.
La musica attraversa un periodo di profonda crisi. Perché?
Forse è la società ad attraversare un periodo di profonda crisi. La musica gode di ottima salute, ci guarda e attende di essere considerata. Siamo noi ad esserci persi. Siamo noi a non credere nel valore infinito della musica. La scuola ha il dovere di aiutarci ad apprezzare e tutelare la musica. La televisione andrebbe completamente riprogrammata. La formula del recital andrebbe modificata e persino i programmi andrebbero ripensati. Ci sono giovani compositori che creano musica ma non gli si da spazio.
La definizione "Musica Classica" ti convince?
E' un po' equivoca. E' evidente che non si riferisce al momento storico dal quale prende il nome, poiché sarebbe troppo riduttivo. Ma soprattutto non mi pare sia da intendere come definizione di genere quanto invece riconoscimento di qualità. Non che questo semplifichi le cose, anzi. In tal caso la definizione si avvicina alla mia personale idea di classicità o immortalità. Faccio un esempio, nel proprio genere Gretchen am Spinnrade di Schubert è un classico, così come, per esempio, Night and Day di Cole Porter lo è nel suo. Sono due classici. Ecco cosa personalmente intendo per "musica classica".
Mancano cinque minuti al tuo concerto. Come vive questi momenti?
Da studente, i momenti prima di un concerto o prima di un concorso, li vivevo con un'ansia tremenda. Nel tempo ho imparato a rilassarmi, respirare e isolarmi. Da quando c'è mia figlia, fino a qualche secondo prima di uscire in scena gioco con lei.
Anche i musicisti mangiano. Il tuo piatto preferito?
Sono di buona forchetta. Eccetto la carne, mangio di tutto. Mi sarebbe piaciuto saper cucinar bene.
La musica è per tutti?
La musica dovrebbe essere per tutti, purché la mente e il cuore siano predisposti ad accoglierla, purché i mezzi di informazione permettano di usufruirne e purché la scuola offra i mezzi per praticarla.
Suonare senza pubblico ha senso?
Non so se abbia un senso, anche perché forse non possiamo sottrarci dall'avere un pubblico che ci ascolta. Neppure quando studiamo in solitudine, poiché una parte di noi è impegnata ad ascoltare, a fare da pubblico. Per chi è credente potrei dire che, quando si fa musica, con o senza pubblico, comunque ci ascolta Dio.
Perché il compositore o l'interprete ha paura del giudizio del pubblico se in netta maggioranza questo non ha competenze musicali?
Magari non ha competenze tecniche ma ha sensibilità e quindi capacità di reagire alla presenza o assenza di emozione. Questo l'artista lo sa è ne ha paura. Paura di non essere all'altezza di un tale impegnativo compito. Poi si può avere paura per molti motivi. Il compositore spesso teme che il suo linguaggio non venga compreso. L'interprete teme che il suo lavoro possa essere considerato non adeguato alla grandiosità della composizione che interpretano.
Musicista e pubblico sono soggetti separati?
Liszt nel 1837 scrisse "l'artista vive solitario". Non che Liszt predicasse bene e razzolasse male ma la sua vita dimostra che un certo desiderio di solitudine non può non essere compensato dalla vicinanza, dal confronto, dalla condivisione con le persone. Penso che musicista e pubblico non dovrebbero essere separati. Sia l'interprete che il pubblico sono partecipi di quello stesso evento magico chiamato musica. Se si perde di vista questa sorta di comunione, si perde il senso del concerto.
Roberto vai a vedere o sentire i concerti?
Durante i concerti favorisco la percezione acustica a quella visiva, a patto che contemporaneamente alla musica non avvengano proiezioni di video o immagini. Da ragazzino, invece, cercavo di sedermi sempre in prima fila per vedere le mani del pianista e verificare alcune cose tecniche. E sempre in giovane età ricordo che mi impressionava la gestualità di Glenn Gould ma anche l'immobilità di Horowitz e Michelangeli.
Sei mai stato intervistato durante un concerto davanti al pubblico?
Non ricordo niente di simile se non ai concerti da te organizzati ed è stato molto divertente. Mi pare che il pubblico abbia preferito l'intervista al solito curriculum scritto sul programma di sala.
Suoni a memoria o con lo spartito?
Per molti anni ho suonato a memoria, sia perché i concorsi lo pretendevano, sia perché, pigramente, cedevo a questa abitudine. Suonare a memoria, credo lo si sia fatto, sì per reali esigenze ma anche un po’ per routine. In passato accadeva la situazione inversa. Pensa che la giovane Clara Wieck fu molto rimproverata dalla critica per il fatto che si presentasse in scena senza spartito e suonasse spavaldamente tutto a memoria. Da un po' di anni suono quasi esclusivamente con lo spartito sul leggio. Noto che anche molti colleghi lo fanno. Spero non diventi una moda, mi dispiacerebbe si pensasse che suono con lo spartito per moda. Scherzi a parte, credo sia una importante conquista sotto il profilo della libertà di espressione. Richter nell'ultima fase della sua carriera lo pretendeva e nei programmi di sala dei suoi concerti faceva riportare un lungo scritto che motivava le sue scelte. Questo è un frammento interessante: "Che infantilismo e che vanità, fonte di fatiche inutili, questa specie di gara di prodezza della memoria, quando bisognerebbe soprattutto fare della buona musica che tocchi l’ascoltatore! Mediocre routine in cui si crogiola una gloria mendace e che il mio caro professore Heinrich Neuhaus tanto biasimava". Io non sarei così drastico. Credo debba essere una decisione presa in totale libertà ma non nego abbia innumerevoli e importanti vantaggi.
Come scegli il repertorio?
Cerco anzitutto di non dimenticare che suono per il pubblico. Un pubblico eterogeneo, non necessariamente preparato e che magari vuole semplicemente trascorrere un'ora piacevolmente. Se si parte da questi presupposti non si cade nell'errore di compilare programmi troppo cerebrali e noiosi. Evito i programmi dedicati ad un solo compositore. Ho fatto uno strappo alla regola solo con specifici compositori. Se inserisco una composizione di lunga durata, il resto del recital lo farcisco con piccoli lavori. Mi piace rendere vari i miei programmi, proporre composizioni sconosciute o addirittura compositori sconosciuti. Questo alimenta la curiosità e onora uno degli scopi dell'interprete: dar voce ai compositori, indistintamente, anche a quelli meno popolari.
La vita musicale del nostro tempo ti soddisfa?
Se si intende l’attività musicale promossa da teatri, dalle scuole e dai mezzi di comunicazione di massa, credo si debba promuovere una forte azione di incremento. L’attività concertistica è troppo circoscritta ai grandi centri e a vantaggio di poche persone.
Cosa farai da grande?
Ho un grande sogno. Quando sarò grande, diciamo anche anziano, mi piacerebbe stare dalla parte del pubblico, sedermi in prima fila e ascoltare mia figlia suonare.